Vi siete mai chiesti come mai quando ci sentiamo particolarmente tristi, ascoltare musica può fungere da antidepressivo o al contrario, amplificare negativamente le sensazioni negative tanto da non riuscire ad ascoltarla?
È sempre esistito un legame profondo tra musica e psiche umana, basta pensare ai tanti artisti come Battiato, Jhon Lennon. Quest’ultimo per esempio dopo essersi sottoposto a un ciclo di terapia psicanalitica, basata sulla rimozione delle difese psichiche del paziente e alla ricerca dei traumi più profondi, associati ad esperienze del passato riferite alla perdita e all’abbandono da parte dei suoi genitori, scrisse la bellissima canzone “Mother: madre tu mi hai avuto, ma io non ho avuto mai”.
La musica è qualcosa che arriva molto direttamente all’inconscio, tocca la sensibilità umana in maniera forte ed immediata, più di qualsiasi altra forma artistica. Basta pensare a come soprattutto tra i giovani l’uso della musica si presti a esprimere i loro sentimenti: rabbia, tristezza ma soprattutto amore.
Nulla di più veritiere le parole di Angelo Villa:
“dagli anni sessanta in poi la canzone diventa, per i giovani, il principale strumento di comunicazione, informazione e conoscenza intorno ai possibili stili di comportamento, in particolare in rapporto alla logica amorosa, agli affetti e ai sentimenti.”
Ma il significato che la musica come linguaggio può esprimere è un significato simbolico la cui funzione è quella di rappresentare i nostri sentimenti e quindi la nostra vita emotiva, la musica è una forma che riflette la forma dei nostri sentimenti con un significato che può essere colto solo intuitivamente. Non è dunque un linguaggio come il parlato ma può essere considerato un linguaggio metaforico che ha un potere anche superiore a quello parlato, in quanto può articolarsi in forme che sono negate al linguaggio verbale.
Queste considerazioni sulla musica come attività umana che si esprime attraverso forme simboliche pone alla psicoanalisi questioni di estremo interesse: perchè è bene far ascoltare la musica mentre la donna attende un bambino? Perché compriamo i carion da appendere alle culle? Perché far ascoltare la musica classica favorirebbe nei neonati lo sviluppo neuronale? Perché esistono corsi di stimolazione sensoriale per i bimbi?
Per capire il ruolo che la musica ha in questi complessi processi che sono studiati dalla psicoanalisi è necessario andare indietro nel tempo ontogenetico. Il bambino, nelle sue prime relazioni con la madre e con il padre, dovrà costruirsi una classe di oggetti (parziali prima e più completi e integrati poi) cui dovrà dare una collocazione spazio-temporale all’interno di sé, in quello spazio metaforico che chiamiamo mondo interno. Un ruolo centrale avrà in questo processo l’esperienza che il bambino ha fatto nella sua crescita endouterina. Queste esperienze sono tutte affidate alla sensoriaIità (in primo luogo uditiva ma anche somoestesica, vestibolare, gustativa), che permetterà al feto di percepire i ritmi materni (cardiaci, respiratori, intestinali), i suoi propri ritmi e gli stimoli provenienti dall’ambiente esterno. Ne deriverà una interazione sensomotoria matemo-fetale la cui caratteristica essenziale è la costanza e la ritmicità. Questi stimoli funzioneranno da “oggetti modello” per la formazione di un primo abbozzo di rappresentazioni e costituiranno per il feto un contenitore ideale per una crescita che è fisica e mentale ad un tempo. In particolare, I’esperienza ritmica uditiva sarà essenziale per lo sviluppo delle funzioni psichiche che parteciperanno alla formazione della categoria mentale deputata alla definizione del bello.
Vale forse la pena di accennare qui al fatto che la ritmicità è uno degli elementi essenziali del concetto del bello in ogni forma d’arte e non solo in musica ma anche nel campo dell’analisi, dove l’uscita da stati psicotici può passare, nei bambini, attraverso esperienze ritmiche con l’altro (Baruzzi, 1985). Alla nascita, la voce della madre apparirà al bambino come il primo meraviglioso strumento esterno a sé capace di produrre suono e dare continuità all’esperienza musicale ritmica precedente. E’ la voce materna che parteciperà a formare un involucro di sensazioni tra cui quelle sonore.
L’ascolto musicale insegna quindi ad ascoltare ciò che non sappiamo dire. Non si tratta dunque di applicare la psicoanalisi alla musica ma di tentare un’operazione inversa: applicare la musica alla psicoanalisi, per addestrare i nostri mezzi mentali a contattare quello che non può essere detto! Ascoltate la musica.