I professionisti che lavorano con pazienti traumatizzati in maniera aperta, impegnata ed empatica e che sentono la responsabilità o l’impegno di aiutare queste persone, sono più vulnerabili a sviluppare un trauma vicario. Ciò significa che saranno trasformati dalla loro attività dato che lavorare sul trauma può essere sì molto importante e gratificante, ma allo stesso tempo anche molto difficile e doloroso.
Infatti non è facile mantenere un atteggiamento di neutralità terapeutica quando un paziente espone le sue memorie traumatiche. Questi racconti suscitano emozioni molto forti non solo nel paziente ma anche nel terapeuta. Il rapporto empatico con le persone traumatizzate può causare un cambiamento nel modo in cui il terapeuta percepisce sé stesso, gli altri e il mondo. Ascoltando i dettagli delle esperienze traumatiche che vengono riportate dal paziente in seduta, il terapeuta diventa testimone della realtà traumatica del paziente e questa esposizione può portare ad una trasformazione all’interno del suo funzionamento psicologico. Queste modificazioni negli schemi cognitivi del terapeuta possono avere effetti negativi sulla sua vita personale e professionale (Blair et al., 1996; McCann et al., 1990).
Una prima concettualizzazione di questo fenomeno si è avuta con l’introduzione del termine Traumatizzazione Vicaria, intesa come un cambiamento in negativo degli schemi cognitivi e dei sistemi di credenze in colui che svolge una professione d’aiuto, che deriva dal coinvolgimento empatico con le esperienze traumatiche dei pazienti. In tal senso è opportuno ritenere che la traumatizzazione vicaria nel terapeuta non derivi necessariamente dall’evento in sé ma dalla relazione di aiuto con un individuo che sta soffrendo a causa di quell’evento (McCann et al., 1990). Il costrutto è stato successivamente esteso fino a comprendere sintomatologie di tipo post-traumatico ed è stato indicato da Figley come Stress Traumatico Secondario, ovvero l’insieme di reazioni comportamentali ed emotive alla conoscenza di eventi traumatici sperimentati da altri o in seguito all’aiuto o al tentativo di aiuto a persone traumatizzate.
Se si esclude il fatto che in questa particolare condizione l’esposizione all’evento traumatico è indiretta, la tipologia di sintomi che ne consegue è la stessa riscontrabile in un quadro clinico di disturbo da stress post-traumatico: pensieri intrusivi, evitamento, aumento dell’arousal e, più in generale, una compromissione del funzionamento dell’individuo (Figley, 1995; Jenkins et al., 2002). Lo stesso Figley propone successivamente il costrutto di Compassion Fatigue che principalmente descrive i sentimenti di profonda partecipazione e comprensione per qualcuno colpito da sofferenza, accompagnati da un forte desiderio di alleviare la sofferenza stessa o eliminarne la causa (Figley, 1995).